Siccità: situazione e soluzioni

Nella giornata mondiale della siccità e della desertificazione discutiamo di quali proposte mettere in campo in Italia per arginare la “grande sete”

Resoconto del convegno tenutosi venerdì 17 Giugno 2022, dalle 10.00 alle 14.00 presso la Sala Giacomo Matteotti (ex Sala delle Conferenze) Palazzo Theodoli- Bianchelli, Piazza del Parlamento, 19 Roma

In uno scenario globale che vede una popolazione di 2,3 miliardi di donne e uomini affrontare problemi legati alla grave mancanza di acqua, con circa 700 milioni di persone che corrono il rischio di essere sfollate a causa della siccità e della conseguente desertificazione, anche l’Italia è sull’orlo di una nuova emergenza idrica dopo un inverno caratterizzato da quasi totale assenza di piogge e temperature sopra la media. È necessario che le istituzioni, a tutti i livelli, ne assumano piena consapevolezza affinché si trovino presto risposte alle conseguenze che la mancanza di acqua provocherà non soltanto sull’agricoltura ma anche sula produzione di energia idroelettrica e, in generale, su tutto il sistema produttivo nazionale.

È opportuno mettere a confronto esperienze, buone pratiche e competenze dei diversi territori – aggiunge la deputata della commissione Ambiente di Montecitorio – che hanno già vissuto le crisi idriche del 2012, 2014 e 2017 così da raccoglierle, analizzarle e valorizzarle. Questo evento è l’occasione per mettere a punto contributi e proposte da discutere con la Risoluzione depositata nella commissione Ambiente affinché si giunga a una visione di lungo periodo, tracciando una road map della gestione delle risorse idriche e degli interventi strutturali da realizzare.

Pasquale Maglione – Dep. XIII Commissione Parlamentare

“Viviamo una situazione particolarmente grave ma nello stesso tempo abbiamo capito l’importanza della transizione ecologica. Riportiamo alcuni dati: non piove da 4 mesi, nel delta del Po il cuneo salin è risalito di una decina di chilometri. Tutto ciò significa: danno economico e ambientale. Il comparto agricolo risente fortemente della mancanza di acqua, in alcune parti di Italia si anticipano i raccolti per minimizzare le perdite. Dobbiamo prendere decisioni non più rimandabili sulla gestione della risorsa idrica (…). Un’agricoltura che non riesce a rinnovarsi contribuisce ancor di più allo spreco della risorsa. È stato importante l’intervento del Senato sulla deroga del deflusso minimo perché  oggi conservare l’acqua è vitale, il Pnrr ha un ruolo importante: sull’ammodernamento del sistema agricolo ci sono circa 5 miliardi di euro (…) Tanto stanno facendo i consorzi e tanto ha fatto il governo tra piano nazionale e pnrr per la realizzazione degli invasi utile a colmare il gap e consentire di raccogliere e stoccare l’acqua piovana e molto ha fatto anche il Governo. In un momento di tropicalizzazione del clima raccogliere e conservare l’acqua è fondamentale, il Piano Invasi va completato e bisogna anche creare bacini di raccolta più piccoli per altre potenzialità e su questo vorrei ricordare il PianoLaghetti di Anbi. In vista della prossima legge di bilancio bisogna fare un vero e proprio piano per le acque concordato tra Governo e Parlamento”. 

Massimo Gargano – Direttore generale Anbi

“In questo contesto di siccità, in cui siamo arrivati alle autobotti, dobbiamo pensare all’agricoltura come meccanismo di sviluppo e occupazionale ma anche come autosufficienza energetica e su questo l’acqua gioca un ruolo importante.

È evidente che l’acqua va vista in un’ottica multifunzionale, nel mondo 200 Paesi e 1 miliardo di persone sono coinvolte nella desertificazione che è legata anche all’uso dei fertilizzanti chimici che hanno sottratto suolo per la produzione di cibo. E poi i flussi migratori, il bacino Mediterraneo sarà coinvolto da mancanza di cibo e acqua. L’Italia è il front office di questo scenario. Possiamo parlare dello zero neve, di temperature troppo alte per la sopravvivenza delle piante, dobbiamo pensare a soluzioni immediate per dividerci il disagio. Altrimenti si affida tutto alle singole regioni che chiedono la calamità naturale. Sul medio e lungo periodo dobbiamo pensare a soluzione legate alla cisgenetica per colture idricamente meno richiedenti. Poi dobbiamo lavorare sulla sostenibilità, Anbi ha messo in campo il marchio goccia verde, lo stiamo testando e poi dobbiamo trattenere l’acqua al suolo, ne raccogliamo solo l’11% perché quest’acqua quando cade trova cemento e asfalto. E qui i Consorzi di bonifica a fronte di risorse del Pnrr e della Pac che impediscono di realizzare opere nuove pongono una questione al Paese. Il Piano Laghetti è un sistema a cemento zero, che li mette in rete e li offre al Paese come multifunzionalità, con primo utilizzo idropotabile poi possiamo metterci, in parte,il fotovoltaico galleggiante e poi le attività del tempo libero, la mobilità e la biodiversità. E poi l’idroelettrico dai salti, è la più pulita che c’è. Poi c’è la tematica della risalita del cuneo salino e la questione dei pozzi abusivi e anche qui i laghetti hanno una funzione: queste acque ricaricano la falda e danno forza al fiume. Poi mi chiedo se tutto ciò che ho detto è condivisibile, perché poi solo il 2% del Piano di ripresa e resilienza viene investito sull’acqua. Su questo tema c’’è una sensibilità da convegni, da lettura da giornali ma poi manca quella concreta, mi rivolgo ai parlamentari: chiedete una rimodulazione del Pnrr (…)

Giovanna Parmigiani – Giunta esecutiva Confagricoltura, consiglio nazionale Anbi

“Siamo davanti a un problema planetario, sappiamo che se il suolo non è in salute non c’è vita. Si stima che al 2050 si potrà perdere il 50% della produzione agricola. La solo siccità in Italia negli ultimi 20 anni ha portato 15 miliardi di perdita in produzione.

L’84% della produzione  agroalimentare italiana è fatta su terreni irrigabili, consideriamo che 1 ettaro di terreno irrigato produce il 30% in più di uno non irrigato. Quest’anno la crisi generalizzata ci chiede di produrre di più tanto che la Comunità Europea ha concesso deroghe su terreni set-aside (…)

Siamo molto preoccupati, in un momento di crisi economica è a rischio l’autoapprovvigionamento. Ben venga la deroga al deflusso minimo dei fiumi, una cabina di regia per fare piani sulle turnazioni per dare precedenza alla zona in cui l’acqua rende più efficiente l’agricoltura. Io suggerisco ancora gli impianti idroelettrici, che possano almeno per i prossimi 15 giorni rilasciare una quota per l’agricoltura con l’auspicio poi che il clima ci aiuti. Sono necessari interventi infrastrutturali per la raccolta, benvenga il Piano Laghetti ma investiamo anche su invasi importanti. È vero che in italia non abbiamo capacità di programmare sul lungo periodo, sembra che la parola diga non si possa dire (…) il mondo agricolo ha fame di innovazione, abbiamo bisogno di facilitazione e aiuto finanziario. Non dimentichiamo le acque reflue, troppo ancora poo utilizzate, la legislazione non è omogenizzati con quella europea e c’è diffidenza del consumatore ma in ottica di economia circolare dobbiamo pensarci. 

Meuccio Berselli – Segretario Generale dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po

“Il fiume Po è in una situazione drammatica, nel distretto vivono 20 milioni di abitanti, preleviamo e distribuiamo 20 miliardi per tutti gli usi. Il 40% del Pil nazionale in agricoltura e il 55% del Pil nazionale per il comparto idroelettrico. Quindi il valore economico dell’acqua nel distretto padano è enorme (…) Poca neve, siccità e temperature più alte di 3 o 4 gradi della media del periodo, la situazione è grave e dobbiamo ricorrere alla cooperazione e alla sussidiarietà in modo che chi ha più acqua possa darne ai territori più in difficoltà. Cosa fare subito? Distribuire l’acqua dei laghi regolati, distribuirla con attenzione e prevedere la difesa dell’idropotabile. Alcuni comuni sono già alle idrobotti, il sale è già entrato e ancora entrerà con danni ambientali ed economici enormi. Quando non c’è pù acqua dobbiamo usare i pozzi, cosa che necessita energia e inquina, il quadro è complicato. 

Questa è la sesta crisi negli ultimi 20 anni, quando chiediamo interventi soffriamo della sindrome Nimby, quando chiediamo di fare un invaso ci contestano il danno ambientale ma così rischiamo di compromettere lo sviluppo di un territorio così capace e strutturato. E ancora il riuso delle acque di depurazione è virtuoso e poi i piccoli invasi, il miglioramento delle reti, il lavoro sull’irrigazione con criteri innovativi. L’adattamento al cambiamento climatico non è procrastinabile, progettazione, finanziamento e realizzazione devono essere accelerati.

Luigi Mille – Direttore AIPo Agenzia interregionale per il fiume Po

“La carenza di precipitazioni areali sul bacino del Po è drammatica, nel 2022 per un largo periodo non ha piovuto. La mia agenzia gestisce lago di Garda e lago di Idro, il primo ha una situazione positiva, il secondo no a causa di opere non fatte, pur avendo i fondi. Questo lago può essere invasato solo a metà per questionii di sicurezza (…) A settembre presenteremo il nuovo progetto per il lago di Idro. Sul Garda, a questo lago viene chiesto soccorso per il Po e continueremo, arriveremo alla fine della stagione irrigua ma con quote basse e poi sul Garda ci sono anche le prese dell’idropotabile”

Giulia Chieffo – Vice direttore generale Utilitalia

“Abbiamo una grande responsabilità che va condivisa, gli eventi siccitosi sono eventi a frequente ricorrenza. Per questo dobbiamo pensare a provvedimenti strutturali di lunga durata. L’impatto della siccità è grande anche sulle infrastrutture (fognarie e di depurazione) e sull’approvvigionamento energetico. La produzione idroelettrica è al 50% in menoo rispetto al primo qudrimestre dell’anno scorso, in questo periodo di siccità e conflitto alle imprese di idroelettrico è chiesto uno sforzo maggiore. 

La nostra parte la fcciamo informando su un corretto uso dell’acqua, in Italia consumiamo 236 litri ad abitante contro una media europea di 125. Con azioni preventive possiamo risparmiare circa diecimila litri d’acqua. Le imprese sono attente ai cambiamenti climatici e presenti al tavolo Anbi sul riuso. 11 miliardi di euro è la cifra che le nostre imprese investiranno in azioni per affrontare il cambiamento climatico, in parte con risorse proprie e in parte con risorse del Pnrr. Questi sono invenstimenti importanti e strutturali. Gli investimenti sono in crescita ma ancora sotto la media europea (…) Possiamo agire su investimenti e decisioni che spettano alla politica e che deve superare un orizzonte temporale di breve periodo”

Stefano Tersigni – ISTAT Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche

“Istat produce indicatori internazionali e osservatori sul nostro Paese, in questi ultimi mesi si sono accentuate le riunioni a causa dell’emergenza. Uno degli aspetti fondamentali per capire le risorse è il bilancio idrico nazionale, su questo Istat e Ispra lavorano insieme. Noi ci siamo concentrati sulla parte antropica, l’uso dell’acqua diviso in civile, industriale e agricoltura. I prelievi di acqua sul potabile siamo a 35 mila punti di prelievo in Italia e parliamo di gestori e gestione in autonomia dei Comuni. I prelievii di acqua potabile sono abbastanza stabili, si nota un leggero incremento dall’inizio del 2000. In Europa siamo il Paese che preleva di più in metri cubi per abitante e siamo i maggiori utilizzatori di acque sotterranea per uso potabile. Sono rapporti che cambiano molto da Regione a Regione. A luglio si preleva di più (…) Si misura di più negli ultimi tempi e quindi la situazione sì risulta peggiore ma almeno ne abbiamo contezza. Alcuni comuni hanno interruzioni del servizio ogni giorno, per alcuni comuni di Sicilia e Calabria è la normalità.

 Circa 4 miliardi di metri cubi di acqua è utilizzata nei processi produttivi, abbiamo stimato questo consumo a livello comunale, sono dati utilissimi ma poco utilizzati. Agricoltura, siamo al 4.0 ma non abbiamo ancora un quadro complessivo sui volumi, cambiano molto a livello territoriale, in centro Italia molto è auto-approvvigionamento. Come fare? Mettere un contatore sul pozzo dell’azienda? Sì è in programma, è necessario per sapere quanta acqua si consuma in agricoltura.Gli osservatori fanno un lavoro fondamentale per passare dalla conoscenze alle attività”.

Emanuele Romano – Istituto di Ricerca sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche

“Sappiamo che diverse utenze sono approvvigionate da diverse risorse idriche con diversi tempi caratteristici, alcune sono più resilienti, le acque sotterranee, altre più reattive, quelle superficiali. Con pro e contro. Farò riferimento all’Appennino centrale anche perché è un po’ un caso di scuola. Se guardiamo i dati a livello mensile la situazione non è catastrofica ma prendendo un arco temporale maggiore vediamo che la situazione è simile ad altri anni siccitosi. Allarghiamo però lo sguardo a 24 mesi, cioè a deficit che impattano sulle risorse sotterranee. Attenzione a utilizzare lo sguardo giusto, dire che sono tre mesi che non piove vuol dire tutto e niente (…) Questi dati ci dicono quale è il tempo di risilienza che è necessario per stare tranquilli, cioè non è che se un anno la sfanghiamo va bene. Come dicevo prima le risorse superficiali sono più reattive. Un sistema di approvvigionamento idrico che utilizza più tipi di risorsa è più resiliente, le soluzioni monotipo entreranno in crisi sempre allo stesso modo. Il compito nostro di ricercatori: è necessaria una catena modellistica condivisa”.

Martina Bussettini – ISPRA, Area per l’idrologia, l’idrodinamica e l’idromorfologia, lo stato e la dinamica evolutiva degli ecosistemi delle acque interne superficiali

“Ricominciamo dalla differenza tra siccità e la scarsità, per diagnosticare quest’ultima ci servono dati che ci raccontano una crisi alla quale è necessario adattarsi. Un modello di bilancio idrologico sviluppato in house che si alimenta con i dati di precipitazione e temperatura, nel lungo periodo abbiamo una perdita del 19% sul trentennio. Abbiamo anche mappato la percentuale di territorio italiano in siccità estrema, si nota un trend purtroppo crescente (…) Il monitoraggio sulla quantità è carente, su oltre 7mila corpi idrici solo il 10% hanno stazioni di misura. I finanziamenti che una volta erano continuativi ora sono residuali, rispetto alla situazione precedente al 2000 le competenze che una volta erano del Servizio idrografico mareografico nazionale che monitorava le risorse su tutto il territorio, oggi le competnze sono distribuite in modo eterogeneo. Tutti questi uffici non hanno questo come scopo primario. Come Ispra con Ministero Ambiente e le autorità di distretto e le regioni abbiamo messo a punto un progetto per ricostruire il monitoraggio delle portate. Ma dura 3 anni e poi chi se ne farà carico?

Abbiamo obblighi per la direttiva acque che ci impongono di avere informazioni su punti di prelievo e scarico, sono punti recepiti nel Testo unico ambientale ma questo all momento non è attuato o lo è solo parzialmente.

Serve una stabilità dei piani oltre l’aternarsi del colore politico del governo. Nel nostro Paese si pensa solo alla cura, grandi dighe no o sì, senza fare una diagnosi, si deve contestualizzare e monitorare. Mi voglio soffermare su questo, ora c’è un approccio risk based, mentre qui parliamo di sistemi complessi che devono essere studiati. Il contesto nazionale deve essere analizzato per poi fare delle road map, invece ad ogni Governo cambia programma. Conoscenza e monitoraggio devono essere obbligatori, se do una concessione devo sapere quanta acqua ho e deve essere più flessibile. Se questo Paese non si dota di un sistema di monitoraggio e di professionalità  negli enti territoriali preposti, non si va da nessuna parte, è imbarazzante e non avere una visione, arrivano leValutazioni di impatto ambientale di piccole o grandi opere e non si basano su dati validi. Serve una riforma, il monitoraggio deve essere associato all’utilizzo e all’opera.

Fabrizio Curcio – Capo Dipartimento della Protezione Civile

“Nell’emergenza si vede un punto di caduta di una problematica che ha necessità di approfondimento. Sull’acqua eravamo un riferimento ora manca una strategia. La scarsità idrica, o cattivo utilizzo, ha delle ripercussioni forti, oggi c’è anche la complessità dell’energia. I dati ci spingono ad un cauto pessimismo, sei province in Piemonte sono con le autobotti, abbiamo una criticità alta nell’Appennino centrale e problemi nei sistemi di raffreddamento nelle centrali termoelettriche in Lombardia (…) Abbiamo già fatto dichiarazioni di Stato d’emergenza, dal 2002, la società deve essere in grado di sensibilizzare la politica in modo che questi diventino temi da agenda. Il rischio idraulico e idrogeologico da una parte e di siccità dall’altra sono rischi con prevedibilità, con margini di variabile certo ma è prevedibile (…) il fenomeno nelle sue indeterminazioni ha prevedibilità e questo ci porta a dare peso ai nostri strumenti scientifici cosa che oggettivamente non viene dato, io parlo di prevenzione in emergenza perché non si riesce a parlare di prevenzione prima che accada qualcosa. Negli anni abbiamo distinto la prevenzione non strutturale da quella strutturale: lavori, opere e manutenzioni.

Lo strumento emergenziale non consente la risoluzione della tematica strutturale, gli scolmatori poi sono stati fatti così, si parlava prima di gare, appalti che durano dieci anni (…) la dichiarazione di emergenza in questo campo ha dei limiti che sono evidenti, dobbiamo dircelo in maniera chiara. È necessaria una strategia di altissimo livello, deve esserci l’idea poi la parte tecnica segue. Possiamo utilizzare questa occasione, questo stato di emergenza per mettere un punto”.

Mario Rosario Mazzola – Membro CITE – Prof. Dip. di Ingegneria Idraulica ed Applicazioni Ambientali, Università di Palermo

“Parlare di emergenza in caso di siccità è una contraddizione. Lo Stato centrale ha delegato troppo alle Regiooni e ora dice che non sa più nulla, la cosa più interessante che ho visto in Israele, oltre alla tecnologia, i satelliti, strumenti di controllo, hanno una struttura centrale sull’acqua che decide. A noi non manca la conoscenza dei dati, certo possiamo averne sempre di più, ma la capacità di decidere. Il tempo delle scelte si sposta sempre più avanti e poi arriva l’emergenza, le crisi idriche del Meridione datano 72, 73 poi il 90, Palermo con i silos in mezzo alle strade, poi la siccità passa e si dimentica (…) La prima cosa è ottimizzare ciò che si fa e costruire quello che serve, si deve pensare ad una pianificazione non statica e poi un soggetto attuatore. Ognuno pensa al suo pezzettino, serve un meccanismo decisionale che ad oggi non abbiamo”. 

Attilio Toscano – Membro CITE – Prof. Dip. di Scienze e Tecnologie AgroAlimentari Università Bologna

“In emergenza si possono mettere in campo soluzioni operative che però non risolvono. La novità è la frequenza di queste crisi, la parola d’ordine in termini di adattamento ai cambiamenti climatici è l’incremento della resilienza dei nostri sistemi idrici. La resilienza è data dall’ammodernamento e dalla creazione di nuove infrastrutture idriche. L’Italia è sempre stato un’eccellenza ma abbiamo un patrimonio di infrastrutture idriche non manutenute in maniera opportuna con uno spreco di risorsa. Queste cose che stiamo dicendo, di non affrontare in emergenza le crisi idirche, sono tre anni che il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, nel suo documento di strategia, adotta e dedica un intero capitolo alle infrastrutture idriche, l’obiettivo macro è la sicurezza dell’approvvigionamento idrico a scopo plurimo che oggi si declina anche in sicurezza alimentare ed energetica quando pensiamo all’idroelettrico. Dobbiamo dotare questo Paese di infrastrutture tali che le crisi idriche abbiano un impatto minore. Il Ministero ha operato con investimenti, nel Pnrr ci sono 4 miliardi e per questa cifra che è poco abbiamo dovuto combattere. Chiudo raccontando l’ultimo pezzo della strategia ministeriale, la riforma del Piano nazionale interventi nel settore idrico oggi Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico. Una misura di programmazione e pianificazione a mio avviso molto importante per creare una pianificazione di medio e lungo periodo, slegata dalle disponibilità economiche esistenti, solo così mani mano che arrivano risorse da varie fonti non dobbiamo fare il giiro dei soggetti gestori e utilizzatori. Una pianificazione ambiziosa che possa consentire di sapere quali siano le priorità”.

Ilaria Fontana – Sottosegretario di Stato al ministero della transizione ecologica

“Sappiamo che entro il 2050 la siccità potrà colpire i tre quarti della popolazione. Non possiamo pensare che sia solo in Ministero della Transizione ecologica ad affrontare il problema, si deve fare rete e squadra e affrontarlo in modo orizzontale. Come Governo stiamo lavorando al monitoraggio grazie agli Osseravatori attivi dal 2006 (…) stiamo anche potenziando il coordinamento degli osservatori e un tavolo con tutte le Autorità di bacino, proseguiremo questo ascolto con gli attori principali e poi concentrarci sull’emergenza Po”.ogrammazione sul llungo periodo”.

Per vedere il video completo del convegno clicca qui


Condividi l'articolo su: FacebooktwitterFacebooktwitter