Acque minerali: chi ci guadagna?

acqua_minerale

La puntata di lunedì prossimo di Report parlerà di acque minerali e termali e del tema delle concessioni a lungo termine e canoni bassissimi che spesso, persino senza bando, vengono affidate ai privati che lucrano sull’acqua.

http://www.raiplay.it/video/2017/05/Report-1173d71f-4b7b-4fc2-bf51-7f952efb321b.html

Attendiamo di vedere la puntata e questa importante inchiesta.

Sono anni che denunciamo la questione fuori e dentro il Parlamento e tantissimi sono i comitati attivi su tutto il territorio su questo tema. Eppure, nulla finora è cambiato e tanto bisogna ancora fare, anche per cambiare la mentalità di quel 30% della popolazione che continua ad acquistare acqua minerale in bottiglia perché non ritiene sicura quella che sgorga dai rubinetti di casa.

Incredibile!

Alcune statistiche ci raccontano che il consumo pro capite di acqua minerale ha raggiunto nel nostro Paese nel 2015 la media di 203 litri/anno a persona: un primato assoluto in Europa che rappresenta la terza posizione nel mondo dopo Arabia Saudita e Messico. Si tratta anche di un comportamento che, oltre ad essere dispendioso, dal punto di vista ambientale è destinato ad aumentare la produzione di rifiuti di plastica e vetro.

Il forte consumo è condizionato inoltre dalla vastità dell’offerta e dalla qualità delle acque minerali sorgive che si producono in Italia.

In realtà, in Italia la qualità delle acque destinate al consumo umano è complessivamente buona. Anche se ovviamente si potrebbe sempre fare di più e meglio in tema di controlli e messa in sicurezza. Proprio per questo abbiamo depositato durante questa legislatura la proposta di legge per modificare il decreto legislativo 31/2001 ma questa è un’altra storia ancora.

http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=2367&sede=&tipo=

Da parecchi decenni, purtroppo, le acque minerali naturali vengono utilizzate al posto delle acque di rubinetto perché, grazie alla pubblicità martellante dei mezzi di comunicazione di massa, nell’immaginario collettivo sono considerate più controllate e quindi più sicure: in altri termini migliori delle acque di rubinetto.

Non tutti si rendono conto che a differenza di un’acqua potabile, che per definizione può essere bevuta senza causare danni alla salute, le acque minerali sono da considerarsi delle acque terapeutiche, con limiti e parametri ben diverse da quelle potabili. Per esempio, prima con l’art. 5 del DM 542/92 ed ora con l’art. 1 del DM 29 dicembre 2003, per una serie di sostanze saline non si impone nessun limite.

Questa condizione fa sì che ogni acqua minerale vada ad essere bevuta da alcuni soggetti e non da altri, questo significa che ogni acqua minerale dovrebbe essere bevuta in base alla patologia che si vuole curare; perciò le acque minerali dovrebbero, a partire dalle etichette, essere chiaramente definite non come potabili, ma come terapeutiche visto che possono contenere sostanze tossico/cancerogene in concentrazione superiore a quanto permesso nelle acque di rubinetto.

Inoltre, appare scandaloso che non esista una uniformità di quantificazione monetaria delle concessioni che vengono pagate per l’estrazione delle acque minerali e che tali somme siano veramente esigue, garantendo un profitto altissimo alle aziende che commercializzano l’acqua.

Il “Documento di indirizzo delle Regioni italiane in materia di acque minerali naturali e di sorgente” approvato dalla Conferenza delle Regioni il 16 novembre 2006 prevede infatti le seguenti tre tipologie di canone per le concessioni date alle aziende:

– da 1 a 2,5 € per metro cubo o frazione di acqua imbottigliata;

– da 0,5 a 2 € per metro cubo o frazione di acqua utilizzata o emunta;

– almeno 30 € per ettaro o frazione di superficie concessa.

Sarebbe quindi urgente la Convocazione della Conferenza Stato Regioni su questo tema, per avviare il processo di revisione normativa (previsto ogni due anni) e che garantisca un significativo innalzamento dei canoni concessori indispensabile per fronteggiare i costi ambientali e, come prevedeva la proposta di iniziativa popolare, di azzerare completamente il rinnovo delle concessioni a soggetti privati.

Un testo diventato proposta di legge alla Camera con il n. 2212, ora in discussione al Senato, e completamente stravolta dal PD come raccontato in questi post
https://www.federicadaga.net/2016/03/15/il-pd-distrugge-la-legge-per-lacqua-pubblica/
e http://www.beppegrillo.it/2016/04/il_pd_privatizza_lacqua_e_se_ne_frega_di_27_milioni_di_italiani.html
mentre il testo originale è disponibile a questo link
http://documenti.camera.it/apps/commonServices/getDocumento.ashx?sezione=lavori&tipoDoc=testo_pdl&idlegislatura=17&codice=17PDL0022541

Per quanto riguarda le concessioni per le acque minerali, da una indagine di Legambiente e AltraEconomia di qualche anno fa emerge che, per quanto riguarda i criteri, la situazione è la seguente:

– sono ancora 6 le Regioni che fanno pagare le aziende (incredibilmente) solo sulla base della superficie della concessione, a prescindere dai volumi di acqua emunta o imbottigliata: Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Molise, Puglia e Sardegna;

– la Provincia autonoma di Bolzano fa pagare un canone anomalo basato sulle portate medie annue in concessione. Considerando la concessione più grande rilasciata, che deriva 6,3 litri al secondo, a fronte di un canone annuo pagato di circa 6.500 euro, si potrebbero imbottigliare fino a 200 milioni di litri (se si prelevasse l’acqua per 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno), con un fatturato potenziale di circa 100 milioni di euro;

– sono 2 invece quelle che fanno pagare solo in base ai volumi di acqua, senza considerare gli ettari di superficie dati in concessione: Abruzzo e Toscana;

– sono 12 quelle che fanno pagare sia in base ai volumi di acqua che alla superficie della concessione: Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Sicilia, Provincia autonoma di Trento, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto.

È evidente come la situazione attuale sia assolutamente insostenibile sia sotto il punto di vista ambientale che economico. Dal punto di vista ambientale, ovviamente, per l’enorme consumo di plastica e per l’inquinamento prodotto dai mezzi per il trasporto delle acque imbottigliate.

Per quanto concerne l’impatto economico, le Regioni continuano ad incassare cifre irrisorie e insufficienti a ricoprire anche solo le spese sostenute per la gestione amministrativa delle concessioni o per i controlli, senza considerare quanto viene speso per smaltire le numerose bottiglie in plastica derivanti dal consumo di acque minerali che sfuggono alle raccolte differenziate.” Un processo di revisione e innalzamento dei canoni non solo consentirebbe di “ripagare” il territorio dell’impatto di queste attività, ma anche di recuperare fondi, in un periodo in cui è sempre più difficile reperirli, da destinare per finalità ambientali.

Ed è esattamente quello che abbiamo chiesto di fare con decine di emendamenti, ordini del giorno, interrogazioni depositate in questi anni, così come abbiamo proposto di ridurre l’inquinamento ambientale e la produzione di rifiuti consentendo a tutti gli esercizi commerciali in possesso di regolare licenza per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, di servire gratuitamente ai clienti acqua potabile che fuoriesce dai rubinetti utilizzati per il consumo umano, facendo anche in modo che siano i comuni stessi ad incentivare tale pratica.

Infine, anche, in base a quanto previsto dalla legge di iniziativa popolare depositata nel 2007 dal Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua e diventata 2212 alla Camera, relativamente al tema del rilascio e del rinnovo di concessioni di prelievo di acque, la nostra proposta è che queste debbano essere concesse dalla Autorità di Distretto e vincolati al rispetto delle priorità di utilizzo e alla definizione del bilancio idrico di bacino idrico di distretto, corredato da una pianificazione delle destinazioni d’uso delle risorse idriche. Inoltre, fatti salvi i prelievi destinati al consumo umano per il soddisfacimento del diritto all’acqua, il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque dovrà considerare il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse soddisfacendo in particolare il principio “chi inquina paga”, così come previsto dall’articolo 9 della Direttiva 2000/60 CE. Infine per le esigenze ambientali o sociali gli Enti preposti alla pianificazione della gestione dell’acqua possono comunque disporre limiti al rilascio o al rinnovo delle concessioni di prelievo dell’acqua anche in presenza di remunerazione dell’intero costo.

Sono queste le istanze che da anni vengono portate avanti da comitati e territori. Sono questi gli obiettivi che vogliamo raggiungere, invertendo definitivamente la rotta che ci vuole sempre più clienti invece che cittadini.

Ripartiamo dall’acqua pubblica, partecipata, trasparente e di qualità.

E’ nostra intenzione depositare nuovamente un legge che riorganizzi il servizio idrico integrato e la gestione tutta dell’acqua nel nostro Paese! Una legge che dia finalmente attuazione al referendum del 2011 e che affronti con determinazione lo scandalo delle concessioni a canoni irrisori e senza gara per lo sfruttamento di una risorsa così fondamentale, sempre più a rischio. Perché gli italiani lo hanno detto chiaramente con quel referendum: i profitti devono stare fuori dall’acqua!

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